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Covid 19

I seri strascichi del Covid che si fanno sentire dopo 6 mesi

Nel 30% di coloro che sono stati infettati dal Covid e ricoverati in ospedale, dopo 6 mesi soffrono di insufficienza respiratoria. Ecco alcuni dei seri strascichi del virus

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Insufficienza respiratoria
Gli strascichi del Covid

Il Covid lascia notevoli segni e strascichi che possono durare mesi e avere conseguenze sull’apparato cardiorespiratorio e sullo stato psicofisico in generale. L’incapacità per molti pazienti di tornare ad allenarsi, la ‘fatigue’ cronica e la spossatezza sono disturbi frequenti quando il virus ha colpito in modo più severo. Per tornare a recuperare le disabilità lasciate dal Covid la riabilitazione, in ospedale o a casa, è fondamentale. È bene sempre farsi valutare da centri specialistici accreditati per mettere in campo un protocollo personalizzato e tornare anche, quando possibile, ad allenarsi in sicurezza. L’agenzia di stampa Dire ha approfondito l’argomento con la dottoressa Mara Paneroni, Coordinatrice dei Fisioterapisti della Palestra Cardio-Pneumologica degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri IRCCS di Lumezzane e membro dell’ARIR.

I danni a livello respiratorio del Covid

La polmonite interstiziale bilaterale, tipica dell’infezione da Sars-Cov2, è molto debilitante. Quali sono i danni a livello respiratorio che può causare e in base alla sua esperienza quanti hanno recuperato totalmente la funzionalità respiratoria e in quanti questa purtroppo è stata compromessa?

«Il danno da polmonite Covid è un danno che permane laddove non si risolve nell’arco di un breve periodo – spiega la dott.ssa Paneroni – Nei casi più severi c’è bisogno di ricovero ospedaliero per acuti e la malattia incide su zone di polmone che a quel punto non ‘scambiano’ adeguatamente. Questo porta a quadri più o meno gravi di insufficienza respiratoria con riduzione della saturazione a riposo mentre nei casi lievi si palesa solo quando l’organismo è sotto stress come nel caso dell’esercizio fisico. L’insufficienza respiratoria porta, nella maggior parte dei casi, all’insorgenza di sintomi come il ‘manca fiato’ o la fatica con conseguente limitazione dell’intolleranza allo sforzo. Per cui il paziente può avere difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane. Il numero dei pazienti con danno strutturale è variabile a seconda delle casistiche di riferimento. I soggetti che noi vediamo reduci da ricovero ospedaliero con insufficienza respiratoria da polmonite corrispondono al 20-30% a distanza di 3-6 mesi dall’evento acuto. Nella popolazione generale affetta da Covid e con polmonite, dove non si è reso necessario il ricovero e le cure intensive la percentuale non è ancora precisamente stimabile ma si aggira attorno al 10%. C’è una piccola fetta di pazienti in cui il sintomo non guida a capire se sussiste una insufficienza respiratoria. In tali soggetti non c’è dispnea e ‘manca fiato’ ma poi verifichiamo alterazioni a livello della saturazione. Questi pazienti potrebbero essere misconosciuti e laddove ci sia stata una forma grave di polmonite è sempre bene farsi valutare anche prima di iniziare un programma di allenamento fisico».

La riabilitazione respiratoria è necessaria solo in casi selezionati più gravi, per esempio nei soggetti che sono stati intubati, oppure anche nelle forme più moderate? E se esiste l’identikit di un paziente che risponde meglio alle terapie riabilitative e perché?

«Se per riabilitazione intendiamo un intervento volto al ritorno alla normalità, i pazienti che necessitano di riabilitazione sono tutti quelli che in cui permane una sintomatologia dopo la negativizzazione. Il protocollo sarà diverso, nei pazienti più gravi che hanno avuto un ricovero in terapia intensiva che necessitano perciò di una presa in carico globale per recuperare sia la disabilità respiratoria che motoria. Se per riabilitazione invece intendiamo un recupero totale delle generiche abilità allora la percentuale che necessita di riabilitazione è maggiore. In tal caso i protocolli possono essere svolti in contesti meno intensivi come, per esempio, il domicilio del paziente. Per quanto riguarda il candidato ideale, al momento non abbiamo ancora dei dati definitivi che ci indicano delle caratteristiche tipo. Sicuramente il soggetto che ha avuto un intervento in Terapia Intensiva ed è giovane e non ha comorbilità può migliorare in modo eclatante dopo un percorso riabilitativo».

Quali possono essere i programmi riabilitativi da svolgere in ospedale o a casa?

«I programmi riabilitativi sono numerosi. In ospedale la presa in carico avviene in un contesto specialistico e di team. Ogni figura professionale va a trattare specifici problemi e poi la risultante è il fatto di lavorare tutti insieme su un modello personalizzato per risolvere i problemi del paziente. Il progetto va a lavorare sulla disabilità respiratoria o cardiorespiratoria in particolare con trattamenti di ricondizionamento e allenamento. Per quanto riguarda la riabilitazione domiciliare il contesto diventa più estensivo e le figure di riferimento possono essere molteplici. È fondamentale per chi ha avuto la polmonite effettuare un adeguato screening iniziale prima di cominciare programmi soprattutto di allenamento. Per indagare deficit respiratori o cardiologici che potrebbero necessitare di stretto monitoraggio sanitario il consiglio è ricorrere a centri specialistici per fare una valutazione di idoneità soprattutto, come già detto, all’allenamento».

Un ultimo consiglio da destinare a chi ha avuto l’infezione da Sars Cov2 per mantenere in salute l’apparato cardio-respiratorio?

«È bene in ogni caso fare un’autovalutazione e porre l’attenzione sui sintomi o sui cambiamenti che il soggetto può accusare rispetto alla fase precedente la malattia. Fondamentale è capire se ci sono stati cambiamenti importanti che hanno influito negativamente sullo stile di vita e spingere questi soggetti verso centri specialisti per lavorare al recupero di eventuali disabilità».

Fonte: Agenzia DIRE

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