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Strage funivia del Mottarone: il tecnico Tadini sentì dei rumori ma certificò il falso

Il responsabile dell’impianto funivia Mottarone certificò il falso quel giorno. Il PM: «Sentiva suoni ogni due o tre minuti»

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Funivia Stresa Mottarone
Funivia Stresa Mottarone

TORINO – Gabriele Tadini, il responsabile dell’impianto della funivia del Mottarone, annotò il falso «nel registro giornale» parlando di «esito positivo dei controlli» sul funzionamento dei freni, sia il 22 che il 23 maggio, giorno della tragedia, malgrado avesse «sentito provenire dalla cabina un rumore-suono caratteristico riconducibile alla presumibile perdita di pressione del sistema frenante della cabina che si ripeteva ogni due-tre minuti». Lo scrivono i PM nella richiesta di custodia cautelare, contestando al solo Tadini anche il reato di falso. Tadini sarebbe pronto ad ammettere oggi davanti al Gip di Verbania di aver disattivato il sistema frenante con la scelta dei forchettoni per evitare il blocco della cabina. «Ho corso il rischio ma l’ultima cosa al mondo che pensavo è che si potesse rompere il cavo traente», avrebbe detto in carcere in un colloquio ieri col suo legale Marcello Perillo. «È pentito», ha aggiunto il difensore preannunciando che chiederà i domiciliari.

I tre devono restare in carcere

I tre fermati per la tragedia della funivia del Mottarone devono restare in carcere perché continuando a lavorare in questo settore potrebbero rimettere in pericolo la sicurezza pubblica e quindi reiterare il reato. Lo si evince dalla richiesta di custodia cautelare firmata dalla Procura di Verbania per Luigi Nerini, Gabriele Tadini ed Enrico Perocchio.

Nella richiesta di custodia in carcere per i tre la Procura richiama come esigenza cautelare il pericolo di inquinamento probatorio perché non si sono presentati subito dopo il fatto e perché potrebbero organizzarsi per concordare le dichiarazioni. Sul pericolo di fuga la Procura ripete le osservazioni già contenute nel decreto di fermo, mentre su quello di reiterazione osserva che tutti e tre potrebbero mettere ancora in pericolo la sicurezza pubblica, poiché lavorano da anni in questo ambiente e se tornassero a lavorare potrebbero ripetere condotte in spregio alla sicurezza. Intanto, dovrebbe proseguire nei prossimi giorni il sopralluogo del consulente della Procura di Verbania che già ieri si è recato sul luogo dell’incidente della funivia Stresa-Mottarone, che ha causato 14 morti, tra cui due bimbi. Lo ha spiegato Alberto Cicognani, comandante provinciale dei carabinieri di Verbania.

La Procura di Verbania, chiedendo il carcere per Gabriele Tadini, il responsabile del servizio della funivia del Mottarone, ha contestato tutte e tre le esigenze cautelari, ossia il pericolo di fuga, di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato. Lo ha precisato il legale Marcello Perillo. È probabile che queste stesse esigenze cautelari siano contestate anche agli altri due fermati, il gestore dell’impianto Luigi Nerini, e il direttore di esercizio Enrico Perocchio. Gli interrogatori sono fissati per oggi in carcere a Verbania davanti al Gip Donatella Banco Buonamici. I PM hanno chiesto la convalida del fermo e la custodia cautelare in carcere.

Le indagini sulla fune traente

Ieri, il lavoro del consulente Giorgio Chiandussi, ingegnere del Politecnico di Torino, si è concentrato ovviamente sulla fune traente che si è spezzata, per iniziare a individuare le cause della rottura che ha portato al disastro, combinata con la disattivazione del freno d’emergenza, deliberatamente decisa, per i PM, dai tre fermati, tra cui il gestore dell’impianto Luigi Nerini.

Parlano i legali degli indagati

«I fatti si accertano nelle aule del Tribunale», così hanno detto due collaboratori dell’avvocato Pasquale Pantano, difensore di Luigi Nerini, titolare delle Ferrovie del Mottarone, lasciando il Palazzo di Giustizia di Verbania. Due collaboratori del difensore di Nerini sono usciti dal Tribunale di Verbania dove presumibilmente sono entrati per ritirare gli atti che hanno portato al fermo per omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro di Nerini e del direttore di esercizio Enrico Perocchio e del responsabile dell’impianto Gabriele Tadini.

«Non ci pensava lontanamente che potesse succedere». Lo ha spiegato l’avvocato Marcello Perillo, legale di Gabriele Tadini entrando al Palazzo di Giustizia di Verbania. «Che lui sapesse delle conseguenze così gravi ho qualche dubbio», ha aggiunto il legale confermando comunque che il suo assistito ha ammesso «la questione del forchettone, ma da lì al disastro e alla rottura della fune è tutto da vedere». Il legale è pronto a nominare dei suoi consulenti tecnici. «E’ molto provato e distrutto» fa sapere l’avvocato di Gabriele Tadini, dopo un incontro in carcere che ha avuto ieri. Il legale ha spiegato ai cronisti che tornerà ad incontrarlo nel pomeriggio. «Lui si è sempre rifugiato nella fede e mi ha detto ‘sono nelle mani di Dio per tutto’».

«Non credo che il forchettone potesse incidere sulla fune», ha poi aggiunto Perillo chiarendo a più riprese che sta cercando di «recuperare delle persone», ossia dei consulenti, che possano fare chiarezza sulla eventuale correlazione tra le anomalie del sistema frenante e la rottura del cavo traente. Per il difensore un aspetto da valutare è capire «questi freni su quali delle due funi insistevano».

L’avvocato ha ancora precisato che durante il colloquio in carcere «non siamo entrati sulle motivazioni» dell’atto, ossia della decisione ammessa da Tadini di disattivare il sistema frenante con i ‘forchettoni’. «Non abbiamo parlato nemmeno del coinvolgimento di altri», ha aggiunto dicendo ancora che c’è «da approfondire la questione del perché è stato messo il forchettone, anche se lui mi ha spiegato velocemente che è stato messo per velocizzare» il movimento della cabina. Tadini, ha proseguito il legale, «sono 38 anni che lavora in questo ambiente, è una persona professionale e preparata, con lui approfondirò le motivazioni». Il riferimento è appunto alla decisione di inserire i ‘forchettoni’.

La camera ardente a Bari

Intanto a Bari è stata aperta, nell’androne di ingresso del Comune di Triggiano (Bari) la camera ardente per Roberta Pistolato di 40 anni, e Angelo Vito Gasparro di 45 anni, la coppia deceduta nell’incidente alla funivia di Stresa Mottarone. Le salme sono arrivate nella notte di giovedì nella cittadina del Barese della quale le due vittime erano originarie, accompagnate dai genitori di Roberta Pistolato. La camera ardente è stata allestita su iniziativa del sindaco di Triggiano, Antonio Donatelli. Le salme, alle 15:00, saranno spostate nel cimitero di Triggiano dove, all’aperto, si terrà la cerimonia funebre secondo il rito dei testimoni di Geova, che a quanto si apprende sarà officiata dallo stesso ministro che ha celebrato il matrimonio della coppia nel 2012.

I funerali in Israele

E nel cimitero Yarkon (Tel Aviv), si sono svolti i funerali di altre due vittime della tragedia della funivia del Mottarone: Yitzhak ‘Izi’ Cohen (82) e la moglie Barbara Kunisky-Cohen (72). Ieri, in un villaggio nel nord di Israele, erano stati inumati la loro nipote Tal Peleg-Biran, assieme col marito Amit e con il loro figlio più piccolo, Tom. Il figlio superstite, Eitan, è tuttora ricoverato a Torino. I funerali dei nonni si sono svolti secondo il rito ortodosso ebraico, alla presenza delle tre figlie, dell’ambasciatore italiano in Israele Gianluigi Benedetti e di circa 150 persone, mentre i mezzi di comunicazione non sono stati ammessi. Al lutto della famiglia ha partecipato la compagnia aerea El Al. «’Izi’ era stato uno dei fondatori – ha ricordato in un comunicato stampa – Ha lavorato con noi per decenni, fungendo anche da vicedirettore generale e da nostro rappresentante nell’Europa occidentale e nel Sud America». Al ritorno delle salme dall’Italia, il volo El Al era stato segnalato nei tabelloni dell’aeroporto ‘LY-Cohen’. Per rendere meno doloroso l’estremo addio accanto alle tombe di ‘Izi’ e di Barbara sono state deposte due bottiglie di champagne.

Appendino, incomprensibili morti per profitto

«Rimane un fatto oggettivamente incomprensibile, immaginare che per questioni di profitto siano morte queste persone, ci siano famiglie distrutte è un qualcosa che colpisce tutti». Così la sindaca di Torino Chiara Appendino interpellata sulla tragedia della funivia del Mottarone, costata la vita a 14 persone, fra cui due bambini. «Prima c’è stato il dolore, che c’è ancora – osserva Appendino – poi la rabbia, assolutamente comprensibile e condivisibile. Bene che le indagini vadano avanti e si possano identificare il più velocemente possibile le responsabilità dell’accaduto».

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