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Editoriale

Cosa siamo disposti a perdere con la riapertura delle attività?

Siamo certi che, in questo momento, riaprire le attività sia la soluzione migliore? Ecco quale potrebbe essere la soluzione alternativa

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Siamo tutti in trepida attesa della Fase 2, quella che dovrebbe segnare l’inizio del ritorno alla normalità. Da tempo, ormai, stiamo combattendo una grande battaglia contro un nemico invisibile. E come ogni guerra che si rispetti dobbiamo cercare di proteggerci: non ci occorrono bunker, ma dobbiamo comunque stare al riparo. Non ci sono bombe che esplodono davanti ai nostri occhi, ma virus silenziosi che possono ucciderci con la stessa rapidità.

Siamo di fronte a un patogeno altamente democratico: non risparmia nessuno. Giovani e anziani possono morire da un momento all’altro anche se hanno sempre goduto di ottima salute. E ora anche i bambini – colpiti da una sindrome infiammatoria misteriosa – si sospetta siano stati danneggiati dal Coronavirus. Abbiamo bisogno della nostra vita, è vero. Ma abbiamo anche bisogno di stare bene, insieme alle persone che amiamo.

Cosa siamo disposti a perdere?

Tutti noi – escluse alcune attività perlopiù alimentari – stiamo vivendo una profonda crisi economica. I soldi non ci bastano più e le spese sono altissime. È chiaro che così non possiamo andare avanti. Tuttavia, sono molte le domande che dovremmo porci in questo momento. La prima fra tutte è: cosa siamo disposti a perdere? Sappiamo benissimo che le mascherine non basteranno e neppure il distanziamento di uno o due metri. Sono senz’altro misure precauzionali da tenere in considerazione. Misure che ci aiuteranno a ridurre il rischio. Ma non saranno sufficienti.

Non lo sono state fino a ora: perché mai improvvisamente dovrebbero funzionare? E se quindici-venti giorno dopo la riapertura delle attività assistessimo a un nuovo boom di contagi e decessi, di chi sarebbe la responsabilità? Della Regione o del Governo che ci ha dato il consenso? Oppure nostra che abbiamo fatto di tutto perché ciò accadesse? Siamo davvero disposti a rischiare di perdere le persone più care per riavere la nostra vita di prima? Prima dei soldi, prima del lavoro, non vengono forse loro?

Come riapriranno le attività?

La seconda domanda che dovremmo porci è: come riapriranno le attività, specie quelle commerciali e i locali pubblici. Bisognerebbe continuamente disinfettare luoghi, oggetti o locali. Occorrerebbe usare box in plexiglas e rimanere distanti l’uno dall’altro. Si verificherebbero comunque lunghe code. Probabilmente, non si guadagnerebbe abbastanza facendo entrare un cliente per volta e spendendo soldi per diminuire il rischio di contagio. Non è detto, quindi, che riaprire le attività ci possa davvero aiutare a uscire da questa profonda crisi economica.

Potremmo anche prendere in considerazione l’ipotesi di trovare un metodo alternativo per fare commercio: per esempio quello online o le consegne a domicilio. Sappiamo benissimo che, negli ultimi anni, le aziende che sono riuscite a sopravvivere alla crisi economica sono quelle che si sono reinventate offrendo servizi alternativi e adeguandosi ai tempi, alla richiesta e alle varie situazioni. Probabilmente – ma è soltanto un’ipotesi – dovremmo tutti noi, in questo momento, provare a offrire servizi, consulenze e prodotti in modo differente da come abbiamo fatto finora. Questa potrebbe essere la vera soluzione per metterci in tasca un po’ più denaro. Sarebbe una nuova normalità, è vero. Dovremmo essere disposti a cambiare i nostri orari di lavoro, il modo in cui concepiamo il lavoro stesso, il rapporto con i nostri clienti. Ma non è detto che cambiare radicalmente la nostra vita non possa darci soddisfazioni. Anzi, spesso i cambiamenti drastici sono quelli che hanno portato ai migliori risultati. Pensiamoci!

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