Musica
Recensione 8 ultimo lavoro dei torinesi Subsonica
Quattro anni di attesa possono essere lunghissimi per un fan dei Subsonica, dato che la band torinese aveva abituato tutti molto bene sotto il punto di vista della produttività: dal ’97 al 2014 si sono susseguiti 7 dischi in studio, 4 album dal vivo e 5 raccolte. Poi sono arrivati il silenzio e la meritata pausa in seguito al non proprio memorabile “Una nave in una foresta”. D’altronde c’è il nuovo che avanza e i Subsonica hanno bisogno di ricaricare le batterie; quindi sono arrivati i progetti solisti di Boosta e Samuel, l’avventura di Casacci e Ninja con i Demonology Hi–Fi e un il libro intitolato “Albe scure”, che racconta i primi vent’anni di attività della band. Avere altro da dire per i Subsonica non era per niente scontato, rimanere abili a navigare tra le acque agitate delle radio e non perdere la loro attitudine era altrettanto complicato.
I Subsonica decidono di regalarci un nuovo capitolo con il nuovo album “8” e decidono di farlo con il loro stile inconfondibile, non temendo affatto di fare un salto indietro nel tempo ma anzi, ricercando proprio in alcune sonorità delle origini la giusta spinta. A dire la verità il primo singolo “Bottiglie Rotte” non ha convinto più di tanto in questo tentativo di revival misto al sound dei tempi moderni, ma l’ascolto del disco fa guadagnare punti al brano inserito nel complesso. “Jolly Roger” è una partenza un po’ con i piedi puntati a terra, un’intro figlia dei primi anni duemila che ricorda vagamente gli Afterhours de “La verità che ricordavo”, ma il testo rappresenta davvero un rientro in grande stile, con la linea vocale di Samuel che è tornata a essere quella di una volta, originale e inconfondibile. Esperimento riuscito a metà invece per “L’incubo”, brano che vede la partecipazione di Willie Peyote: sound fresco e testo con richiami ai fasti passati dei torinesi (“Cercando un capro espiatorio più misero / che gli assomigli terrestre o mammifero). La vera svolta del disco però, arriva con “Punto critico”: qui riconosciamo i migliori Subsonica, quelli del pezzo in grado di esplodere nel live, con sonorità all’avanguardia e con il ritornello che si infila prepotentemente in testa, rivelando un connubio perfetto tra i brani storici di “Microchip Emozionale” e quelli dei dischi più recenti (andate a riascoltarvi “Il Diluvio”). Riescono a fare ancora meglio con “Fenice”, il vero pezzone dell’album, una dinamite che si accende nel ritornello, con un ritmo fantastico, accattivante, impossibile restare fermi. “Respirare” si tira fuori dal cerchio più danzereccio e si candida seriamente ad essere il prossimo singolo di questo disco: melodica, trascinante, romantica al punto giusto. Un’atmosfera malinconica che si ripete ne “Le Onde”, brano che inizia con piano e voce e poi si lascia andare in una suite elettronica molto intensa. Stesso discorso per “L’incredibile performance di un uomo morto”, nella quale l’intensità dei bassi aumenta gradualmente e, insieme alla melodia, riescono nell’impresa di far vibrare anche lo stomaco. Il ritmo si alza di nuovo nell’ascesa sonora di “Nuove Radici”, altra eco dei vecchi Subsonica (questa volta sono forti i richiami a “Terrestre”) con la chitarra a rendere il finale più rock’n roll del solito, e ancora nella instant classic “Cieli in Fiamme”, pezzo che risente dei primissimi lavori ma con sonorità in grado di spaziare tra elettronica e Uk bass.
“8” rappresenta davvero un nuovo inizio per questa band che ha scritto un pezzo di storia di musica italiana a cavallo degli anni Novanta e gli anni zero del nuovo secolo. I Subsonica dimostrano di avere ancora molto da dire, i contenuti sociopolitici sono attualissimi e non sono stati messi da parte, le sonorità sono fresche e non si adagiano sui lavori passati semplicemente ricalcandone la forma. La band torinese dimostra di essere un gradino sopra a tantissime produzioni del momento, sa adeguare la moda al suo stile inconfondibile e, pur tentando spesso un revival del suo stesso repertorio, riesce ad essere assolutamente al passo con i tempi.
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