Storie
A Ven Gelind (Arriva Gelindo): Il Natale nel mistero della Divòta Cumedia
E’ quasi Natale e Gianduja incontra il leggendario pastore Gelindo, che gli racconta con nostalgia del viaggio a Betlemme, quando fu il primo pastore a vedere Gesù
Era il 23 di Dicembre, e stavo rientrando a casa.
C’era molta neve e riuscii a malapena a parcheggiare nel primo paese: niente da fare! Dovevo cercare un posto per dormire: un po’ come era accaduto a Giuseppe e Maria, secondo la tradizione cristiana.
Leggo l’insegna del paese: San Gillio. E comprendo di essere molto lontano da Callianetto.
La porta della chiesa è aperta ed entro per scaldarmi un poco e chiedere ospitalità, o almeno dove trovare la locanda più vicina.
E lo trovo lì, davanti al Presepe, mentre contempla la culla vuota di Gesù Bambino (La statuetta l’avrebbero messa a Natale).
L’arrivo di Gelindo
Lo riconosco subito: “Tempo da lupi, Gelindo, ma cosa fa così lontano da casa? Non è del Monferrato?”
“Oh, mi sembra che in quanto a distanza non scherza neanche lei Gianduja.”
“Mi si è fermata la macchina.”
“Io invece ho radunato le pecore nel prato qui dietro, perché se continuo le perdo.”
“Ma di solito non ha un agnello al collo?”
“Gianduja! Ma cosa crede? Mica si può camminare così. Va bene giusto quando si entra in scena. Poi basta. Dopo un po’ mi fa anche arrossare la pelle.”
Ci sediamo su di una panca.
“Io l’ho visto!” Mi dice subito.
“Chi?”
“Ma come chi? Gesù bambino.”
“Sono curioso. Mi racconti dall’inizio, che tanto abbiamo tempo: fuori ha ripreso a nevicare e qui non si vede nessuno.”
Si mette comodo, quasi orgoglioso di iniziare la storia.
“Dunque, la mia storia è raccontata da una Sacra Rappresentazione in Lingua nostra, piemontese, e si chiama Divòta Cumedia perché è un po’ seria ed un po’ comica. E’ diffusa fin dal XVII Secolo.”
“Un libro?”
“Teatro, mio caro Gianduja, Teatro: anche lei se ne intende!”
“E come è andata?”
“Io ero, cioè, io sono ancora adesso un pastore, dalla testa dura ma, come dice mia moglie, ho un cuore d’oro. Peraltro è lì che è cominciato il calvario dell’agnello, quello che ricordava prima. Dovevo mettermelo al collo e legarmelo davanti al petto unendo le zampe. Anche l’agnello dopo un po’ non ne poteva più. Ma questo è per le rappresentazioni, perché quando ho iniziato il mio viaggio non lo avevo, avevo solo una cesta di tomini da vendere.”
“Calma! Calma! Per favore, se no non non capisco. Che viaggio?”
“Il Censimento, quello che voleva l’imperatore, e così sono partito dal Monferrato lasciando soli i miei di casa: mia moglie Alinda, mio figlio Narciso e mia figlia Aurelia, oltre al vecchio garzone Maffeo. E sono dovuto andare a Betlemme.”
“Ma perché?”
“Perché la storia è scritta così: anche a me sarebbe piaciuto di più andare a fare festa in paese. Invece sono andato a Betlemme.”
“Viaggio lungo!”
“Si, ma io ho il passo veloce. E lì sa chi ho incontrato?”
Mi guarda con l’occhio furbo e tace.
Aprò le braccia e dico: “Dei lupi? I Romani? …”
“No, no, no. Per carità. Ho trovato nientemeno che San Giuseppe e la sua sposa Maria che non sapevano dove andare a dormire. Così io ho indicato loro una grotta che avevo visto lungo il cammino.”
“E poi?”
“Poi non ho resistito e sono andato a vedere il Bambino appena nato, e lì ho capito che era proprio lui, il salvatore del mondo. Sono stato il primo a vederlo, e l’ho anche preso in braccio. Pensi che non ha neanche pianto. Ma io ho fatto piano piano. E la Madonna è stata coraggiosa a fidarsi di me.”
“Che bella esperienza!”
“Si. Però mi sembrava brutto essere lì solo soletto, così sono tornato a casa, ho preso con me tutta la famiglia, ed anche quel poveretto del fidanzato di mia figlia, che gli vuole bene, e siamo andati tutti insieme a tenere compagnia a quella famiglia ed a fare festa. Ho portato anche i tomini e le coperte.”
“Per questo guardavi la mangiatoia del Presepe!”
“Si: avevo nostalgia di quella notte. Era un bellissimo bambino. Pensa che Maffeo gli anche fatto una suonatina da pastore con la zampogna e che mia moglie Alinda conserva ancora in ricordo le fasce del neonato. Poi sono arrivati i Re Magi, e poi …”
“Mi dica, sto ascoltando con attenzione …”
“E poi invece ho visto anche cose brutte: la strage degli innocenti, la fuga di quella famiglia in Egitto, la lotta fra i figli di Erode e la morte del re.”
“Una storia complicata …”
“Cosa vuole: non c’era una sola storia, ma molte versioni: pensi che, secondo alcuni studiosi, mi conoscevano già verso il 1200 nell’Alto Monferrato, e che compaio nelle laudi, che sono dei canti sacri in lingua nostra, e nelle favole raccontate nel periodo natalizio nelle stalle, durante le Vijà. “La favola di Gelindo”, appunto.”
Guardo fuori. Ha smesso di nevicare e ci sono le stelle. Come per miracolo non fa più freddo. La neve si è sciolta.
Ci alziamo ed arriviamo alla soglia della chiesa dedicata a Sant’Egidio.
“Caro Gelindo, se riesco a far partire la mia automobile posso darle un passaggio …”
“Grazie Gianduja, ma ho le pecore. Adesso le raccolgo tutte e mi avvio.”
Ci guardiamo, poi mi fa un cenno di saluto e dice “Buon Natale, anche a Madama Giocometta.”
“Grazie” rispondo “E a sua moglie Alinda ed alla sua famiglia.”
E, al termine di questa pagina, anch’io desidero augurare Buon Natale a tutti gli amici di Torino Fan.
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