Storie
Flora di Monterosso e l’amore immortale
Chi era la splendida fanciulla dalle lunghe trecce e gli occhi color del cielo che sembrava appena uscita da un quadro di Botticelli?
Biondi i capelli, che ricadevano in lunghe trecce sulle spalle ben modellate; grandi e voluminosi gli occhi, azzurri come il cielo e come il mare; perfetto l’ovale del volto, di classica purezza , in mezzo al quale schiudevasi al sorriso una bocca divina, fresca e fragrante; bianchissima la carnagione; slanciato ed esile il corpo che aveva la grazia e la trasparenza delle adolescenti dipinte – in quegli stessi anni nei quali ella viveva – da Sandro Botticelli. Flora di Monterosso era una di quelle creature che Dio manda tra gli uomini a soffrire e a far soffrire, che seco portano, inesorabile, un tragico destino.
Flora di Monterosso
Quando toccava appena i vent’anni d’età, nel natìo castello di Monterosso ergentesi tetro su una rupe di valle Grana, la meravigliosa fanciulla, vissuta fino all’ora quasi in solitudine sognando lontani mondi e arcane felicità, vide venire dalla vicina terra feudale di Pradleves il signore di quel castello conte Balduino, già maturo d’anni, rozzo nel costume e sgradevole nell’aspetto, che l’aveva chiesta a suo padre in isposa.
Invano Flora dichiarò che quell’uomo non le piaceva; invano pregò di risparmiarle un’unione a cui il suo cuore era contrario; quando vide per la prima volta il conte di Pradleves già suo padre glie l’aveva accordata, per interessi politici che avevano in lui soffocato ogni altro sentimento ;già il suo sacrificio era decretato. Flora di Monterosso dovette seguire il non amato suo sposo Balduino.
I giorni più tristi
Che tristi giorni per lei in quell’altro castello, dove più nessuno le era accanto che le destasse fiducia o simpatia! Un’angoscia infinita le opprimeva il cuore. Il marito, avido dei suoi baci e delle sue tenerezze, faceva di tutto per accattivarsene l’affetto, le portava monili tempestati di gemme, bandiva di feste in suo onore: ma i sorrisi ch’ei le strappava eran forzati e amari e pregni di pianto.
Spesso anzi la bellissima, fredda come marmo, alle sue proteste d’amore rispondeva allontanandosi, incapace di vincere la repugnanza che l’ispido e rozzo consorte le ispirava.
Accanto a lui era come il fior di mughetto presso un rovo spinoso.
Ella tutta delicata, fine e fragile; egli tozzo e enorme, ruvido e muscoloso. E se, per farla sua anche in spirito, il felino nascondeva le unghie e dava morbide carezze, e sussurrava dolci parole, quand’ella mostravasi ostinatamente restia a tutte le sue preghiere aveva negli occhi tali lampi di ferocia mal contenuta, che ben si vedeva quali istinti covasse.
Per questo appunto Flora lo detestava, e invano cercava d’indurre se stessa ad accettarne le profferte d’amore. Quell’uomo non le destava che odio e disgusto.
Trattata brutalmente
Passarono così alcuni anni; Flora sentiva la vita sua struggersi a poco a poco in un languore di morte. Ora il marito, rinunciando alle tenerezze, cominciava a torturarla con trattamenti brutali; la teneva in castello come una reclusa; la lasciava per intere giornate da sola sulla l’oggetto ov’ella sfogava il suo dolore rigando il bel viso di lacrime cocenti, chiedendo al Cielo perché la sua vita dovesse inaridire a quel modo senza mai riscaldarsi al sole d’Amore .
Un giovane cavaliere
Ma venne il giorno che fu per lei di segreto conforto al lungo soffrire. L’anima sua, assetata di bellezza e poesia, s’accese alla vista d’un giovane cavaliere, Corrado di Narbona, che, mentre peregrinava per valle Grana, essendo caduto da cavallo, era stato dai servi di Balduino, portato in castello gravemente ferito.
Flora, incuriosita, visitò l’ospite inatteso: e quando i suoi occhi incontrarono quelli del valoroso giovane, che alla vista della bellissima creatura si era sentito ferire un’altra volta, della ferita che più non si risana, l’amore sbocciò con violenza in quelle due anime elette, stringendole con un nodo indissolubile di reciproco affetto.
Le visite di Flora all’infermo si ripeterono ogni volta che fu possibile; egli le narrò le molte singolari vicende della sua vita eroica e avventurosa; ella l’avvolse d’un’aurea di cielo parlandogli con voce melodiosa e soave dei suoi sogni giovanili e affissandolo con quei suoi occhi grandi e profondi, azzurri come il cielo e come il mare.
Vendetta in arrivo
Ma il conte Balduino non tardò ad accorgersi dello idillio, e meditò la vendetta. Quando il cavaliere Corrado, ormai pienamente guarito, dovette pur congedarsi da lui e riprendere il suo viaggio, egli chiese bruscamente alla consorte perché fosse così triste e pensosa.
E tanto insistette nella domanda che alla fine la povera Flora, non potendo più reggere alla disperazione che la partenza dell’amato le aveva messa in cuore,fieramente ribellandosi per la prima volta al suo persecutore:
– Ebbene – gridò – se volete proprio saperlo, ve lo dichiarò apertamente: io amo il cavaliere Corrado, e l’amerò sempre, a dispetto di tutto e di tutti. Egli è mio come io sono sua; e nulla al mondo potrà impedirmi di volergli bene!
A quella confessione così recisa, accompagnata da lacrime ridotte, Balduino ruppe ogni freno. Il felino spiegò allora tutta la sua ferocia . Si gettò sulla misera donna incapace d’ opporre la minima resistenza, le strinse tra le grosse ruvide mani, come in una morsa di ferro,il collo di cigno, vi conficcò le unghie, e tanto ve le tenne finché il flessuoso corpo, stralunando gli occhi e sussultando penosamente, non rimase inerte, mentre l’anima se ne sprigionava ad inseguire l’uomo amato ancora non molto lontano. Ma questi, la cui tragica fine di Flora aveva reso la vita insopportabile, cadeva poco dopo in un torneo; le due anime poterono così congiungersi felicemente per sempre, trasvolando nei cieli azzurri e stellati a inebriarsi d’amore.
La visione dei fantasmi
Appunto una sera che Balduino, ormai solo è più feroce che mai, stavasi sulla loggetta del suo castello di Pradleves sotto il pallido chiaror della Luna, Flora e Corrado gli apparvero, vaghi fantasmi, stretti l’un all’altro in dolcissimo amplesso.
E Flora gli parlò.
– Tu m’hai qui uccisa, Balduino; ma io non te ne serbo rancore. Quasi, anzi, te ne ringrazio, perché uccidendomi m’hai dato modo di congiungermi più presto al mio bel cavaliere. Ero, sì, tua moglie; ma per violenza tua e d’altrui; non per mia libera elezione. Io ho amato un uomo solo, Corrado di Narbona, e amerò questo per l’eternità. – In così dire Flora volgevasi al suo diletto, che le cercava avidamente la bocca divina.
Balduino, assalito un’altra volta da cieco bestiale furore, sguainò la spada che portava al fianco, e s’avventò sulla copia per colpire. L’impeto fu così violento che, urtando contro il davanzale della loggetta, il conte lo scavalcò, e cadde a capofitto nel fosso sottostante, ove rimase cadavere orribilmente sfracellato. Ma la coppia gentile, punto turbata da quella vista oscena, si allontanò per l’arere queto, sotto il mite chiaror della luna volando agile e leggera e splendente di giovinezza, mentre un lungo bacio ne suggellava l’unione, eternamente felice.
Euclide Milano “ Nel Regno della Fantasia” Fratelli Bocca , Editori – Torino – 1931
Lucio Alciati
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