Storie
La Lettera
LA LETTERA
Alessandro guardò la busta e la rigirò fra le mani, non c’era mittente ma l’indirizzo, scritto a mano e con una calligrafia sconosciuta, era proprio il suo.
Stava nella buca insieme ai soliti volantini pubblicitari , senza francobollo e la infilò nella tasca del giaccone.
Mentre saliva le scale, il cellulare s’illuminò: “Ti aspettiamo alle dieci al bar, poi decidiamo “Era Pietro. “Rispondo dopo” pensò trafficando un po’ con la chiave, che si era impigliata nella tasca interna.
Non aveva voglia di uscire quella sera, dopo la giornata dolorosa che aveva trascorso in ufficio proprio non ce la faceva.
Aprì la porta del piccolo locale chiamato pomposamente open- space che era un vecchio e piccolo alloggio ristrutturato dove lo space non era poi così open , ma era tutto ciò che aveva potuto permettersi di acquistare con il mutuo. Era però casa sua e ne andava fiero.
La civetta in osso lavorato a mano e gli occhi di vetro marrone stava su un ripiano della libreria, proprio davanti alla porta di ingresso. L’aveva scovata in cantina al tempo del trasloco, tutta impolverata in un angolo, chissà a chi era appartenuta, ma gli era piaciuta subito e poi sapeva, che nei tempi pagani, era considerata un portafortuna. Ancora oggi qualcuno pensava che, se la civetta guarda la porta d’ingresso, preserva dal male la casa. Per gioco l’aveva piazzata lì in bella mostra e gli amici avevano riso tanto di questa sua stranezza e tutti insieme ci scherzavano su ogni volta.
Quella sera gli occhi di vetro della civetta brillavano in modo strano.
Il giaccone finì sull’attaccapanni e, mentre stava per rispondere al messaggio , si ricordò della lettera nella tasca. Di chi poteva essere? La prese con una punta di curiosità e la gettò sul vecchio divano che stonava un po‘ con la modernità dell‘ambiente perché non era né moderno né antico era solo vecchio e bruttino “devo assolutamente comprarne uno nuovo” si ripromise “magari faccio un giro all’Ikea, forse con la tredicesima o con il premio … no il premio non ci sarà più e si rabbuiò, non per il premio, ma per quanto era successo.
Va di lusso se non perdo il posto“ sospirò aprendo il frigorifero che era bello, tutto giallo stile anni ‘50. Glielo avevano regalato i suoi genitori, insieme all’anticipo del mutuo.
Cercò fra i piatti pronti surgelati e ne tirò fuori uno , lo mise nel microonde, e impostò il timer. Tolse il maglione, sbottonò il colletto della camicia e sfilò le scarpe che andarono a finire una sotto una sedia e l’altra una po’ più in là.
Rea, la giovane gatta siamese, sbucò da non si sa dove e, con un miagolio di soddisfazione, si appropriò di quella finita sotto la sedia. Aveva una passione per le scarpe lei e, quando ne trovava una in bella vista, ci si accucciava sopra e restava lì a far le fusa. Quella sera Alessandro non la allontanò come solitamente faceva, si adagiò comodo sul divano con i piedi appoggiati sul bracciolo, aprì la busta e iniziò a leggere.
La missiva era breve, qualche riga soltanto e iniziava “Caro signore” , “signore? Mah!”.
Iniziò a sentirsi vagamente a disagio, mise giù le gambe e sedette sul bordo del divano con i gomiti sulle ginocchia e la schiena tesa. Stette così mentre rileggeva quella frase che gli parve vagamente minacciosa..
Un forte odore di bruciato lo riscosse, non aveva sentito il timer e si alzò per spegnere il forno e aprire un po’ la finestra ma faceva troppo freddo e la richiuse subito. La cena era andata e la gettò nel cestino che mise sul balcone : non aveva più fame. Il cellulare squillò, e guardò l’orologio le 10,30, era sicuramente Pietro che chiamava ma non rispose, spense il cellulare, infilò il giaccone e uscì.
La serata era gelida e alzò la pesante sciarpa blu a coprire la bocca.
Piazza Maria Teresa, doveva recarsi lì, non era lontana e s’incamminò..
quasi deserti a quell’ora i portici di via Po, pochi i passanti che camminavano frettolosi in cerca di caldi rifugi; la nebbia , sebbene meno pesante, arrivava fino lì e i lampioni , come avvolti da un leggero strato di cotone, emanavano una luce fioca, giallina e un po’ vischiosa. Come sospesa a mezz’aria, spogliata del fiume e della collina, apparve Piazza Vittorio: nessuna luce filtrava, nemmeno quella del Monte dei Cappuccini.
Alzò ancora di più la sciarpa fin sulle orecchie e rabbrividì avvertendo un senso di nausea , non per il freddo, ma per quanto era successo in ufficio durante il giorno: erano arrivate delle lettere di licenziamento, era stato orribile ,qualcuno se lo aspettava ma altri no, e pensare che l’azienda non aveva avuto perdite solo un utile più basso di quanto era stato previsto e così, per recuperare il gap, i Fondi USA, proprietari della multinazionale avevano deciso di tagliare posti di lavoro in tutte le unità europee.
Lui si era salvato per il momento ma si era sentito a disagio, quasi in colpa nei confronti dei suoi colleghi.
Aveva assistito a vere scene di panico, quasi tutti avevano figli e un mutuo da pagare e pochi avevano alle spalle una famiglia solida come la sua ..altro che il problema del suo divano da cambiare …
Ma quello che più l’angosciava e gli procurava una rabbia sorda era che non si poteva far nulla: non servivano scioperi né manifestazioni né il saltar di tetto in tetto. Il mondo, anche lui, pareva avvolto nella nebbia ma una nebbia voluta e molto più minacciosa.
Ma che gioco era mai questo? Qualcosa gli sfuggiva e aveva paura, tanta paura,. “Credo sia solo l’inizio” pensò rabbrividendo.
Imboccò via della Rocca. e giunse sulla piazza .” Proprio questa sera doveva arrivare questa lettera, potevo lasciar perdere ma mi ha incuriosito .. speriamo di fare in fretta, non vedo l’ora di tornare a casa”.
Tutto era silenzio, era il giorno di chiusura del Guglielmo Pepe , non c’era anima viva.
Si fermò un attimo e rilesse : “ Caro Signore, si rechi in piazza Maria Teresa e cerchi la panchina di fronte al numero civico 5 “ .
Il numero 5 era dalla parte opposta e tagliò la piazza inoltrandosi nel giardino. Ecco il numero 5, la panchina era sicuramente quella.
Si chinò e vide un pacchetto legato con lo spago, sì proprio uno spago di quelli che non usano più e la carta era marrone, da imballo. Posata sul pacchetto c’era un altra busta chiusa: la calligrafia sempre la stessa.
“Perché non risponde, dove si sarà cacciato.. “ Pietro stava dicendo agli amici ormai impazienti. “Non è da lui , sarà successo qualcosa? “ Ma no, avrà combinato all’ultimo momento con una donna e non vuole essere disturbato!” Claudio ridacchiò“ Andiamo in birreria, ormai per il cinema è tardi” e si avviarono .Pietro li seguì pensieroso quasi riluttante “Forse hanno ragione loro, però..”
Alessandro mise il pacchetto sulla panchina, sedette e aprì la lettera.
“Caro Signore” anche questa iniziava così.
Lesse e rilesse più volte, si alzò, fece in giro della piazza , ritornò al punto di partenza e rilesse ancora. Non sentiva più freddo anzi.
Come in un film gli si presentarono davanti agli occhi i volti dei suoi colleghi, quelli dei suoi genitori e di tutta la gente onesta che conosceva, ed era tanta.
“No, non posso.” E lo disse a voce alta.
Un chiarore un po’ livido illuminò la piazza che si stava animando: erano le sette . Il portinaio dello stabile n° 5 aprì il portone e diede uno sguardo al giardino.
Lo vide, mezzo arrovesciato sulla panchina, si avvicinò , lo scosse e capì che era morto. Rientrò velocemente in casa e telefonò alla polizia mentre dei passanti, ancora insonnoliti, si avvicinavano alla panchina tenendosi però a debita distanza.
Il telefono squillò al posto di polizia zona centro . Il centralinista avvisò il Brigadiere Sorrenti che finì di bere il caffè della macchinetta con una smorfia non si sa se dovuta al cattivo sapore o al fatto di dovere subito entrare in azione o a tutti e due. Il Brigadiere chiamò un poliziotto e insieme si avviarono a piedi perché piazza Maria Teresa era molto vicina.
Sorrenti stava quasi per andare in pensione e di morti ne aveva visti tanti ma quando a morire era un giovane restava sempre turbato. Il ragazzo era lì sulla panchina, poteva avere si e no trent’anni. Stringeva fra le mani un foglio e, a terra accanto al suo piede, c’era un pacchetto avvolto in carta marrone legato con uno spago.
Nel frattempo era arrivato anche il medico che diagnosticò l’ora della morte. Il freddo era tanto e il decesso poteva essere avvenuto, presumibilmente, fra le due e le cinque. Sorrenti guardò a lungo il viso di Alessandro, quello era il nome che compariva sui documenti trovati nel borsello: Alessandro C. nato a Torino il 16/5/1978. Riuscì con fatica , e con l’aiuto del medico, a recuperare la lettera stretta fra le dita del morto e lesse:
“Caro signore, non era previsto che capitasse proprio a lei ma il suo nome è stato estratto. Chi siamo? No, non siamo extraterrestri e neppure una volgare banda criminale siamo piuttosto una Corporation. La sorprende il termine inglese? Ma noi parliamo tutte le lingue siamo cross e non apparteniamo ad alcuna fazione politica o religiosa, noi siamo al di sopra di tutto e governiamo il mondo, da sempre.
Ci divertiamo a vedere come voi tutti: bianchi, gialli,e neri, cristiani e musulmani e buddisti, democratici e conservatori vi scanniate ogni giorno in nome di un ideale. Noi abbiamo costruito nel tempo gli ideali e le religioni per potervi manovrare a nostro piacimento per poter rafforzare sempre più il Potere trasversale e ci siamo riusciti.
Ci passiamo il comando da padre a figlio e, quando non ci sono eredi, estraiamo a sorte qualcuno da inserire nella nostra organizzazione. Come vede siamo anche democratici.
Questa volta è toccato a lei, Alessandro, e non può rifiutare, pena la morte che sembreràdovuta a cause naturali, può succedere anche in giovane età. Nel pacchetto troverà le istruzioni e sappia che, se accetta, non avrà più contatti con la sua famiglia e con i suoi amici ma non soffrirà perché perderà memoria della sua vita per iniziarne una nuova inserito nella nostra organizzazione.
Non se ne pentirà e vivrà in quel lusso che, infondo, hasempre sognato. Sparirà semplicemente, come accade ogni giorno in ogni parte del mondo e la Polizia indagherà per un po’ senza risultati e tutto finirà nel nulla“.
Sorrenti piegò la lettera con cura, fece scivolare il pacchettino in un sacchetto di plastica e il corpo venne rimosso. L’anziano brigadiere era molto turbato e, tornato in centrale, volle che si aprisse subito il pacchetto.
Conteneva un foglio di carta scritto a macchina e un gadget: un fermacarte di lucido ottone a forma di piccola trappola per topi.
Fissò l’oggetto e iniziò a leggere.
“ Caro Signore, vedo che ha accettato la nostra proposta! Complimenti.
Senza saperlo ha partecipato a una nostra indagine motivazionale i cui risultati ci consentiranno di escogitare nuovi games interattivi sempre più emozionanti.
Grazie di aver partecipato! “
Lo Staff di Interactive Games
P.S. Se si è un po’ spaventato non ce ne voglia!
LE TRE SORELLE
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