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La tassa della F.N.O.P.I. la paga l’azienda

Il giorno dopo la sentenza del Tribunale di Pordenone dove il giudice ha stabilito che la tassa dell’Albo degli infermieri la deve pagare l’azienda.

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Il giorno dopo la sentenza del Tribunale di Pordenone dove il giudice ha stabilito che la tassa dell’Albo degli infermieri la deve pagare l’azienda in vincolo d’esclusività.

Il segretario provinciale di Confintesa sanità Torino ci tiene a precisare che sono soggetti a vincolo d'esclusività solo i dipendenti della pubblica amministrazione e alcune aziende private ove viene richiesto ma quest'ultimo caso e molto raro.

Chiariamo cos’è il vincolo d’esclusività nella pubblica amministrazione

La esclusività del rapporto di lavoro del pubblico dipendente ha origini lontane. La sua massima espressione risiede nella Carta costituzionale dove viene stabilito (art. 98 co.1) che i “pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

Il dettato costituzionale certifica per il pubblico dipendente lo status particolare di lavoratore subordinato connotato da un qualificato obbligo di fedeltà nei confronti della Pubblica Amministrazione (nel seguito P.A.) dove è incardinato, che si fonda sul dovere di perseguire e proteggere l’interesse pubblico primario affidato alla stessa Amministrazione in base al principio costituzionale di legalità dell’azione amministrativa.

Con il D.P.R. 10.01.1957 n. 3 il legislatore ha poi stabilito che “l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente”[1].

Da quanto precede è evidente che il principio di esclusività si traduceva per il dipendente nell’obbligo di dedicare interamente all’Ufficio la propria attività, senza distrarre le energie lavorative in attività non prettamente attinenti con il rapporto di lavoro.

Tale impianto normativo è rimasto in essere fino alla fine degli anni ’80 quando è stato introdotto nel settore dell’impiego pubblico l’istituto del rapporto a tempo parziale[2]. La norma poi rimandava ad un ulteriore provvedimento la definizione delle tipologie del rapporto part time, la cui prestazione di servizio non poteva essere di norma inferiore al 50 per cento delle ore di lavoro stabilite mensilmente per il personale a tempo pieno di qualifica e profilo professionale corrispondente[3].

Con tale provvedimento è stata introdotta anche la possibilità per il dipendente part time di svolgere altre attività previa autorizzazione della P.A. o Ente di appartenenza, fermo restando che le attività stesse oltre a non arrecare pregiudizio alle esigenze di servizio non dovevano risultare incompatibili con le attività di istituto[4].

Questo particolare regime delle incompatibilità e delle ipotesi di conflitto di interessi (anche potenziali) che possano pregiudicare l’esercizio imparziale delle funzioni assegnate, risulta ancora pienamente operante.

Infatti anche se il legislatore all’inizio degli anni ’90 ha avviato un irreversibile processo di privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico ha mantenuto, nell’ambito delle incompatibilità, una specifica riserva legale sottraendo così di fatto questa materia alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro. Infatti la Legge 23 ottobre 1992 n. 421 stabilisce – art. 2, comma 1, lett. c, n. 7 – che “sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell’ambito dei principi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie”: (…) “la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici”.

La disciplina in questione è stata poi oggetto di un duplice complessivo riesame. Il primo realizzato con il D.Lgs.3.02.1993 n. 39 e nello specifico con il suo art. 58 ed il secondo con il D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 che, all’art. 26, ha integralmente riscritto i commi dal 6 al 16 dell’art. 58.

In tale contesto è stato previsto che l’Amministrazione possa negare la trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time nel caso in cui l’attività lavorativa (autonoma o subordinata) che il dipendente pubblico intende intraprendere “comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio dallo stesso svolta ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti (in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente) pregiudizio alla funzionalità dell’Amministrazione stessa”[5].

Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, alla P.A. dove presta servizio, l’eventuale successivo inizio o la variazione dell’attività lavorativa in precedenza autorizzata. Inoltre ferma restando “la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interessi, le Amministrazioni provvedono, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno”[6].

Da ultimo si rammenta che il Dipartimento della Funzione Pubblica per una uniforme lettura delle precitate disposizioni ha diffuso due circolari la n. 3 del 18.02.1997 e la n. 6 dell’18.07.1997 entrambe riguardanti il “lavoro a tempo parziale e disciplina delle incompatibilità” a mente dell’art. 1, commi 56 – 65 della Legge 662/1996.

Negli anni successivi le sopra indicate disposizioni sono confluite nel D.Lgs. 30.03.2001 n.165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” – e, nello specifico, nell’art. 53 rubricato “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”.

Dalla sua lettura appare evidente che la stringente formulazione in tema di incompatibilità – assolute e condizionate (cioè che possono svolte solo a condizione di avere acquisito l’autorizzazione dalla PA di appartenenza) – è dettata dalla necessità di prevenire, e comunque di evitare, l’insorgere di conflitti di interesse tra le singole Amministrazioni (datori di lavoro pubblici) ed i propri dipendenti.

Quindi l’infermiere che lavora negli ospedali pubblici è tenuto a rispettare tale vincolo, quindi essendoci carattere esclusivo dell’esercizio dell’attività attività professionale in regime di subordinazione in cui l’ente pubblico è l’unico soggetto beneficiario dei risultati di detta attività.

Confintesa mette a disposizione i propri legali e il modulo per richiedere alle aziende pubbliche di appartenenza per riscuotere gli arretrati della tassa all’albo degli infermieri.

Per info 349/5685158

confintesasanitato@libero.it

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