Curiosità
The lonely doll è torinese – Le leggendarie bambole Lenci – Elena König Scavini
Una storia di successo nata proprio a Torino, i cui prodotti sono protagonisti di mostre valutati con somme da capogiro durante le aste
Il
libro per bambini “The lonely doll” – La bambola solitaria,
veniva pubblicato negli USA nel 1957 divenendo uno dei bestseller più
venduti e, ancora oggi, è inserito nella lista dei migliori libri illustrati
per i bimbi.
La storia narrava della bambola Edith che trovava la famiglia desiderata
in due orsacchiotti di peluche. L’autrice e fotografa, Dare Write, decise
di illustrare il libro con i suoi scatti in bianco e nero che ritraevano i
pupazzi della sua infanzia in situazioni reali. Non sapevo, però, che il libro
fosse collegato a Torino in quanto la bambola Edith nacque proprio qui nella
magica fabbrica Lenci fondata nel 1919 da Elena König e dal marito Enrico
Scavini. Lenci è l’acronimo di Ludus Est Nobis Constanter Industria – Il gioco
è per noi lavoro costante, oltre ad essere il nomignolo affettuoso con
cui Elena era chiamata in famiglia.
Elena Konig
Nacque a Torino il 28 febbraio 1886, figlia di un’intellettuale austriaca e di Francesco un dottore in chimica di origini tedesche. Era un bimba grassoccia, graziosa e vivace con una grande chioma castana che voleva diventare “speciale” e girare il mondo. Lenci sapeva anche cucire e, con dei pezzi di stracci, creava le sue bambole. La vita spensierata durò poco perchè all’età di nove anni perse il padre e la famiglia si trovò in cattive acque. La madre iniziò a dare lezioni di lingue e vendette tutto quanto poteva. Elena con i fratelli e le sorelle dovette iniziare a lavorare.
Il periodo di Dusseldorf
Elena si trasferì all’estero facendo tutti i lavori possibili da domestica a operaia e si stabilì i a Dusseldorf dove ottenne il diploma di maestra fotografa e aprì uno studio in Konigsallee. Nello studio, diventato punto d’incontro di artisti e intellettuali, incontrò il futuro marito Enrico Scavini, che intelletuale non era ma si trovava nella città per apprendere il tedesco e fare apprendistato in una fabbrica di tessuti.
Il matrimonio e la perdita della figlia
Il
matrimonio avvenne nel 1915 in collina, nella chiesetta di San Vito ma, poco
dopo, scoppiò la guerra ed Enrico partì arruolato in aviazione.
Due anni dopo nacque la prima figlia, Gherda, che morì dopo poco di
febbre spagnola. Elena cadde in profonda disperazione e nulla destava più il
suo interesse fino a che, un giorno, ricordò che quando era piccola si
costruiva le bambole e pensò di ricominciare.
Dapprima un
pagliaccio e una bimba, poi un cavallino, un contadino, un cane e così via.
Elena tagliava, cuciva e imbottiva i giocattoli e poi li chiudeva in un
armadio. Erano i giocattoli della bimba perduta.
Elena non era però del tutto soddisfatta: i giocattoli non erano abbastanza
morbidi, non si potevano strapazzare quindi le occorreva un materiale
diverso; le venne in aiuto un fratello e nacque il pannolenci. Un feltro
di lana e peli di animale pressati a caldo.
Lencina
Lencina fu la prima bambola di pannolenci e ne seguirono altre ma finivano sempre nell’armadio ormai strapieno. Le bambole erano ben fatte, uniche nel loro genere e sicuramente sarebbero piaciute anche ad altri, pensava il marito dispiaciuto che restassero nascoste. Una sera l’armadio venne aperto e le bambole mostrate a degli amici durante una cena. Piacquero molto e un amico italo-americano propose ai coniugi di tentare la vendita negli Stati Uniti. Prese con sé le bambole e le portò in America ma.. non arrivarono a destinazione perchè vennero tutte vendute durante la traversata!
E l’avventura inizia
Il 23 aprile
1919 Enrico Scavini depositò il marchio Lenci e dai locali di via Marco Polo
la produzione si spostò nel nuovo stabilimento di via Cassini .
Lenci ottenne la medaglia d’oro all’Esposizione d’Arte Decorativa di Torino e
contemporaneamente pubblicò il primo catalogo aziendale con
settanta modelli di bambole che venivano fabbricate solo su ordinazione.
Personaggi importanti visitarono Lenci fra i quali la regina Elena, il filosofo
Rabindranath Tagore e Walt Disney. Nel 1923 vnne aperto il primo negozio a
Milano in Galleria e, nel 1925 Lenci vinse la medaglia d’oro
all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes a
Parigi.
Le bambole bizzarre e inconfondibili ormai venivano richieste non solo
dall’America, ma anche dall’Europa e dal Giappone, amate da grandi e piccini.
Elena traeva anche ispirazione agli artisti famosi e fece la ballerina
Josephine Baker e anche l ‘attore Rodolfo Valentino. Artisti famosi
dell’epoca contribuirono tutti per rendere le bambole dei veri e propri oggetti
d’arte. Nel 1926 Elena, per differenziare la produzione, iniziò a produrre
fiori, bouquet, vestiti e cappellini finchè un giorno, ebbe l’idea di creare
delle ceramiche.
Nelli – le ceramiche
Quelle ceramiche erano però oggetti troppo elitari e, pur essendo apprezzate dai critici, non si vendevano: occorreva trovare dei soggetti più popolari. L’inesauribile Elena vide un giorno, in piazza Castello, una ragazzina scattante che le piacque e la fermò invitandola in fabbrica a posare per lei. La ragazzina si chiamava Nella, aveva 15 anni ed Elena la ritrasse in momenti diversi. Queste ceramiche ricordavano le bambole ed erano sentimentali e allegre. Si può dire che Nelli salvò le ceramiche e migliaia ne furono vendute.
Il declino
Seguirono
altre collezioni ma nel 1929 un po’ causa la crisi e un po’ per la gestione non
troppo oculata iniziò il declino dell’azienda.
Nel 1933, pertanto, entrarono due soci i fratelli Garella che, nel 1937,
divennero gli unici proprietari. Nel 1938 Enrico Scavini morì, Elena
venne assunta come direttore artistico e si ritirò a vita privata nel 1941.
Da allora si dedicò alla tessitura e all’arredamento. Morì nel 1974.
Nel 1992 la famiglia Garella cedette la ditta alla Bambole Italiane e nel 1998 venne inaugurato lo showroom La Casa delle Bambole in via Carlo Alberto , trasferitosi poi in via Amendola.
Nel 2002 la Bambole Italiane fallì e tutto scomparve ma resta il ricordo di quei prodotti ormai leggendari che sono i protagonisti di mostre e valutati con somme da capogiro alle aste.
L’archivio è stato acquisito dalla Direzione Musei e dall’Archivio Storico di Torino, per impedire la totale dispersione di un tesoro della storia cittadina.
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